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Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 21/05/2002
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: FIOM - CGIL / SITI SPA
RIFIUTO DI CONSENTIRE L'ACCESSO A FUNZIONARI ESTERNI CHE HANNO CONVOCATO UN'ASSEMBLEA SINDACALE - RIFIUTO DI VERSARE ALLE OO.SS. LE TRATTENUTE SINDACALI - NON ADESIONE DEL DATORE DI LAVORO ALLE ASSOCIAZIONI FIRMATARIE DEL CCNL MA RECEZIONE DELLO STESSO -


Un datore di lavoro, dopo avere impedito l'accesso in azienda a due funzionari FIOM che avevano proclamato un'assemblea (in assenza di rappresentante sindacali interne) scriveva alla stessa organizzazione sindacale - inviando la missiva per conoscenza a Berlusconi, Bossi e Fini - che da quel momento non avrebbe più consentito l'accesso di sindacalisti nella sua fabbrica ed avrebbe inoltre smesso di operare le trattenute sindacali e di effettuare i relativi versamenti. Inveiva inoltre, con espressioni colorite, contro il sindacato in genere e - come osserva il Giudice - «con tono di aperta sfida (…) anche nei confronti dell'efficacia vincolante dei provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria ("… se questa nostra viene interpretata come atteggiamento antisindacale non ci interessa un fico secco e saremo fieri ed orgogliosi di accettarne tutte le conseguenze dandone la dovuta risonanza attraverso gli organi di informazione")». L'episodio, al di là della grossolanità di certe espressioni non comuni nel territorio emiliano specie tra aziende di non modeste dimensioni (circa 140 dipendenti) che può trovare una spiegazione solo nell'illusione di impunità che il nuovo quadro politico ha generato in alcune frange del padronato, si caratterizza anche per gli aspetti "tecnici" derivanti dal non essere la società aderente ad associazioni datoriali firmatarie del CCNL: sia la materia della convocazione di assemblee da parte di funzionari esterni sia quella della riscossione dei contributi sindacali trovano oggi infatti la loro fonte nel contratto collettivo. Il giudice ha però verificato dalla sommaria istruttoria che gli istituti contrattuali oggetto di causa erano stati, fino all'episodio dell'ultima assemblea, pacificamente applicati, fatto che ha reso irrilevante la discussione in ordine alla riconducibilità degli stessi alla parte normativa ovvero obbligatoria della contrattazione. Anche la comunicazione inviata alla FIOM all'inizio dell'anno con l'elenco nominativo degli iscritti al sindacato con dichiarazione (effettuata mediante barratura dell'apposita casella) dell'applicazione del contratto stipulato da Federmeccanica sembra, per il Tribunale, «provare in modo ragionevolmente certo che i rapporti tra impresa e associazioni sindacali si sono sempre svolti sull'affidamento reciproco dell'applicabilità della contrattazione collettiva». Il magistrato ha quindi ritenuto che l'assenza di RSU (o di RSA) non impediva la convocazione dell'assemblea da parte della FIOM: «anzi, il diritto dei sindacati "esterni" di convocare le assemblee acquista maggiore pregnanza proprio quando manchino strutture sindacali interne, perché diversamente verrebbe meno ogni spazio di discussione e informazione sindacale con le maestranze». Conseguentemente il Tribunale del lavoro di Bologna ha ordinato alla società: a) di consentire lo svolgimento all'interno dei locali della propria azienda delle assemblee previste dall'art. 20 dello statuto dei lavoratori anche se indette, nel limite di tre ore, dalle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo nazionale di settore; b) di versare alle organizzazioni sindacali le trattenute loro spettanti sugli stipendi dei lavoratori che le abbiano autorizzate




Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 15/04/2002
Giudice: Pugliese
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: S.L.C. - C.G.I.L. / TIM S.p.A.
LAVORO TEMPORANEO - DIRITTI SINDACALI DELL'O.S. FIRMATARIA DEL CCNL DI SETTORE - VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI INFORMAZIONE PREVISTI DA LEGGE, CCNL E ACCORDI SINDACALI - ANTISINDACALITA': SUSSISTENZA.


Nell'ambito di un breve incontro tra i responsabili dell'ufficio personale di una azienda di telecomunicazioni ed i funzionari di una O.S. territoriale di categoria veniva comunicato oralmente a questi ultimi che, a far data dal giorno successivo, la società avrebbe inserito provvisoriamente nell'organico aziendale 117 lavoratori part-time reclutati tramite contratti di fornitura di lavoro temporaneo. Tale informazione veniva motivata con la necessità di fronteggiare un'occorrenza di incremento di organico indotta da una imminente campagna pubblicitaria promozionale. Nei mesi successivi a questo primo incontro l'azienda aumentava ulteriormente il numero di lavoratori impiegati con contratto di lavoro ad interim ed orario part-time senza trasmettere alcuna ulteriore informazione ai soggetti sindacali a ciò deputati, in palese violazione del dettato normativo dell'art. 7, comma 4, della L. 196/97 ed in spregio al ruolo preposto alle OO.SS. in sede di instaurazione di rapporti di lavoro temporanei. Inoltre, contrariamente a quanto dichiarato dalla società, la quasi totalità dei lavoratori ad interim impiegati presso l'azienda svolgevano attività certamente non connesse a situazioni di mercato congiunturali e non consolidabili. Nel caso di specie i nuovi "assunti" venivano addetti al Call Center del Customer Care, ufficio, quest'ultimo, composto per circa l'85% esclusivamente da lavoratori interinali. L'O.S. territoriale di categoria ricorreva quindi con procedura ex art. 28 St. Lav. al Giudice del Lavoro lamentando molteplici violazioni sia del dettato normativo che di quello contrattuale. Con decreto del 15 aprile 2002 il Giudice adito accoglieva parzialmente le domande, rilevando: a) l'inadempienza della società convenuta circa gli obblighi di informazione preventiva previsti dalla art. 7, comma 4, della L. 196/97, dall'art. 17 del CCNL di settore vigente e dall'accordo interconfederale 16 aprile 1998, in materia di fornitura di lavoro temporaneo; b) l'impiego dei lavoratori interinali in attività non correlate con straordinari fabbisogni aziendali di maggiore organico; c) l'utilizzo di lavoratori assunti ad interim in percentuale superiore a quanto indicato nel contratto collettivo di categoria e con modalità tali da far ipotizzare che il ricorso al lavoro temporaneo fosse diventato, in ambito aziendale, la normale prassi di assunzione di personale. Conseguentemente il Giudice del Lavoro dichiarava l'antisindacabilità dei comportamenti posti in essere dalla società convenuta nei confronti dell'organizzazione ricorrente concretatisi nella violazione degli obblighi di informazione preventiva e periodica circa il numero dei lavoratori interinali, la qualifica, le modalità e la durata dell'utilizzo nonché i motivi del ricorso al lavoro temporaneo, ordinando la cessazione dei comportamenti antisindacali e la rimozione dei relativi effetti




Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 17/10/2003
Giudice: Marchesini
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 789/03
Parti: SLC-CGIL - UILPOST - TECSTAT / Poste italiane SpA
AGITAZIONE SINDACALE CONSISTENTE NEL BLOCCO DI QUALSIASI PRESTAZIONE STRAORDINARIA E AGGIUNTIVA - PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI NEI CONFRONTI DEI LAVORATORI CHE VI HANNO ADERITO - ANTISINDACALITA' - SUSSISTENZA.


Per contrastare le forme di lotta proclamate a livello regionale dalle OO.SS. di categoria, consistenti, tra l'altro, nel blocco di qualsiasi prestazione straordinaria e aggiuntiva (ed in particolare nel rifiuto per i portalettere di aderire alla sistematica richiesta di effettuare la consegna della corrispondenza in zone ulteriori rispetto a quelle di propria competenza) Poste Italiane SpA irrogava provvedimenti disciplinari ai dipendenti che avevano aderito all'agitazione. Di qui la denuncia per antisindacalità in diverse città dell'Emilia Romagna. Il sindacato di Ferrara aveva impostato il proprio ricorso evidenziando in particolar modo come, per carenza di organico, la richiesta ai portalettere di "coprire" anche una zone limitrofa rispetto a quella allo stesso normalmente assegnata comportava quasi sempre il superamento dell'orario di lavoro, e quindi che le prestazioni supplementari dovevano considerarsi lavoro straordinario; la società Poste Italiane pur avendo usato questo aggettivo in propri passaggi, contestava la circostanza. Il Giudice di Ferrara considera «non obbiettivamente chiaro» (ma in fondo irrilevante) «se il lavoro in discorso dovrebbe svolgersi nell'ambito delle sei ore giornaliere e nelle trentasei ore settimanali, pattuite contrattualmente, oppure al di fuori di tali orari». Ritiene invece «dato acquisito, in quanto affermato da parte ricorrente e non smentito dall'antagonista, che questo lavoro extraterritoriale determinerebbe un piccolo beneficio economico per i lavoratori in esso impiegati». Il datore di lavoro aveva considerato il rifiuto di svolgere le prestazioni aggiuntive o supplementari un inadempimento contrattuale, e conseguentemente aveva irrogato ai propri dipendenti che tale rifiuto avevano opposto pesanti sanzioni disciplinari (sospensione dal lavoro e dalla retribuzione). Il Giudice, dopo aver riconosciuto che «secondo gli schemi privatistici il dipendente non può astenersi, in tutto o in parte, dal lavorare: non può astenersi a titolo individuale, sarebbe inadempiente a un'obbligazione contrattuale e, trattandosi di rapporto di lavoro appunto dipendente, sarebbe oggetto di atti disciplinari» ha però precisato che «tutto cambia quando l'astensione del lavoro è organizzata collettivamente, insomma è uno sciopero (…) e, come è noto, con l'avvento della Costituzione repubblicana lo sciopero non soltanto ha cessato di essere un fatto illecito, ma è diventato anche più di una facoltà; costituisce un diritto, e sanzioni per l'esercizio di un diritto sono, addirittura, contrari alla logica giuridica». Di qui l'assoluta evidenza, per il Giudice di Ferrara, nel caso in esame della doverosa applicazione dell'art. 28 dello Statuto con riferimento a "comportamenti diretti a impedire o limitare l'esercizio … del diritto di sciopero". A ciò si aggiunga che «poiché lo sciopero era stato proclamato dal sindacato, le sanzioni con cui l'azienda ha colpito chi aveva seguito il proclama di esso hanno costituito palesemente, a prescindere dall'intento soggettivo, "comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale"» Di opposto avviso si è mostrato il Giudice di Bologna in identica fattispecie, considerando quell'astensione dal lavoro non già uno sciopero con contestuale perdita di retribuzione, ma «una non accettazione da parte dei dipendenti del modello organizzativo del lavoro proposto dall'azienda» che si sarebbe tradotto in una «inosservanza delle disposizioni impartite dall'azienda in materia di orario di lavoro e, dunque, in un inadempimento contrattuale inidoneo a determinare una decurtazione retributiva». La decisione, basata sul presupposto di fatto, più volte ribadito, della "non decurtazione retributiva", suscita alcune perplessità essendo vero, al contrario, che - come accertato dal Giudice di Ferrara - la prestazione aggiuntiva in una zona ulteriore trova uno specifico compenso (nel caso di specie il magistrato bolognese non ha ritenuto di assumere sommarie informazioni o di interrogare sul punto le parti presenti - nonostante la produzione di una busta paga che comprovava detto emolumento - ed ha invitato i difensori alla discussione della causa alla prima udienza sulla base dei soli scritti difensivi). Lo stesso Giudice ha poi considerato irrilevante anche la circostanza che spesso per effettuare la prestazione aggiuntiva i portalettere si vedono costretti a superare l'orario giornaliero di lavoro, affermando testualmente che «la pretesa dei dipendenti di lavorare sei ore giornaliere e di non superare tale orario giornaliero non costituisce allora astensione dal lavoro, ma negazione del potere datoriale di organizzazione e strutturazione dell'orario di lavoro e, quindi, inadempimento contrattuale». Invero l'affermazione appare un po' troppo lapidaria non essendo affatto, secondo le vigenti disposizioni normative e contrattuali, la materia dell'organizzazione e strutturazione dell'orario di lavoro di esclusiva competenza datoriale




Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 19/12/2000
Giudice: Tarozzi
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: FIOM-CGIL / Lamborghini Oleodinamica SpA
CONTROLLO A DISTANZA DEI LAVORATORI - SOTTOSCRIZIONE DI ACCORDO SINDACALE CON RSU DIMISSIONARIA - ANTISINDACALITA' - SUSSISTENZA.


In un'azienda in cui i tre delegato di RSU erano stati indotti alle dimissioni dalla loro carica a seguito di "voto di sfiducia" da parte dell'assemblea dei lavoratori, la direzione aziendale chiedeva ed otteneva il consenso delle medesime, a distanza di alcuni mesi da dette dimissioni, per la sottoscrizione di un accordo in materia di installazione di videocamere all'interno dei luoghi di lavoro, finalizzate - a detta dell'azienda - alla tutela del patrimonio aziendale. La FIOM denunciava la società per comportamento antisindacale, evidenziando che in assenza di RSU (in quanto non si erano ancora tenute le nuove elezioni) essa avrebbe eventualmente dovuto seguire la procedura prevista dall'art. 4 dello statuto dei lavoratori, rivolgendosi al Servizio Ispettivo della Direzione provinciale del lavoro (già Ispettorato del lavoro). Il datore di lavoro si costituiva invocando il principio della "prorogatio", secondo il quale in caso di scadenza del mandato i delegati sindacali rimangono in carica fino alla loro sostituzione. Il Giudice del lavoro di Bologna, ritenendo che «la predetta ipotesi sia tutt'affatto diversa da quella in esame in quanto la sfiducia dimostrata dai lavoratori ai delegati delle RSU costituisce elemento patologico e non fisiologico del venir meno del loro incarico» accoglieva il ricorso, dichiarando «l'inefficacia dell'accordo aziendale concluso con i membri della RSU già dimessisi»




Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 22/10/2004
Giudice: Marchesini
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 811/04
Parti: Shaikh J. / Ergap s.r.l.
COMPORTAMENTI REITERATI DIRETTI A PENALIZZARE IL PRESIDENTE DI UN’ORGANIZZAZIONE SINDACALE - ANTISINDACALITA - SUSSISTENZA – MATURAZIONE DEL DIRITTO DEI GIORNALISTI AL RIPOSO INFRASETTIMANALE IN RAGIONE DELLA EFFETTIVA PRESENZA IN AZIENDA: INSUSSISTENZA


Una complessa vicenda processuale, che ha visto la riunione di un procedimento di opposizione a decreto reso ex art. 28 St. lav. ad un ordinario ricorso individuale, si è conclusa con una condanna plurima di un importante gruppo editoriale sul presupposto della “plurioffensività” della condotta. Alla fine del 2001 si era verificato il concentrarsi di una serie di disposizioni aziendali finalizzate a “penalizzare” il presidente dell’Associazione Stampa Emilia Romagna in un arco temporale brevissimo, che facevano seguito ad una presa di posizione critica, da parte sua, nei confronti dell’editore. Il Giudice ha preliminarmente rilevato che “la semplice sequenza cronologica degli avvenimenti evidenzia già con chiarezza che con tali comportamenti punitivi l’azienda intendeva sanzionare l’intervento critico del dott. G. nella sua veste di rappresentante sindacale, sulle proposte avanzate dall’editore nel corso della vertenza sindacale in essere al 15-11-2001”. Il primo comportamento ritenuto antisindacale è quello relativo alla “decurtazione” di 111 giorni di ferie arretrate relative ad anni precedenti, sul presupposto che le cd. “corte” (ovvero il giorno di riposo retribuito infrasettimanale previsto dall’art. 7 del CNLG, comunemente coincidente con il sabato) non sarebbero maturate nei periodi di fruizione di permessi sindacali retribuiti previsti dal CNLG durante la settimana, ove detti permessi abbiano superato le due-tre giornate (criterio definito unilateralmente dalla stessa azienda). Invero la norma contrattuale prevede che “il giornalista ha diritto, oltre al riposo domenicale, anche ad un altro giorno di riposo infrasettimanale, che può non coincidere con una festività”. A tale proposito il Tribunale ha ritenuto emergere con chiarezza che la cd. “settimana corta” è semplicemente un’articolazione del rapporto di lavoro e non un beneficio che matura progressivamente in forza delle giornate lavorative svolte. L’orario di lavoro dei giornalisti, in definitiva, per espressa previsione della norma pattizia, si articola su 36 ore settimanali in cinque giornate lavorative, con la domenica ed un altro giorno infrasettimanale di riposo. L’interpretazione di Poligrafici Editoriale SpA, secondo cui la fruizione della cd. “settimana corta”, costituirebbe un diritto che matura in ragione dell’effettiva presenza del giornalista, è palesemente e fortemente in contrasto con la noma pattizia, e pertanto assolutamente infondata. Inoltre l’art. 23 del CNLG stabilisce espressamente che coloro che ricoprono cariche sindacali negli organi previsto degli statuti delle Associazioni Regionali di Stampa hanno facoltà di usufruire di permessi sindacali retribuiti per il tempo strettamente necessario per lo svolgimento di tali funzioni. Ciò comporta, secondo il Giudice, che l’assenza del dipendente per tali motivi “è pattiziamente equiparata alla presenza, a tutti gli effetti, e solo la norma contrattuale può prevedere deroghe a tale principio”. Dal momento, poi, che la norma non prevede un tetto massimo (come numero di ore) per tali permessi “ne consegue che la valutazione di congruità o incongruità del tempo impiegato può essere contestata ed accertata, in ciascun caso, unicamente sulla base del criterio del tempo occorrente per lo svolgimento della funzione, che costituisce la ratio dell’istituto, sulla base della stessa norma pattizia”. E’ quindi certamente illegittimo equiparare i permessi sindacali retribuiti ad assenze dal lavoro, per di più rilevanti ai fini della maturazione della cd. “settimana corta”, trovando, tra l’altro, l’art. 23 del CNLG espresso fondamento nell’art. 30 della legge n. 300/1970. Il Tribunale ha conseguentemente condannato l’editore al ripristino dei giorni di ferie illegittimamente decurtati. Si è poi ritenuta antisindacale la immotivata esclusione del presidente dell’associazione sindacale dalla prestazione lavorativa domenicale alla quale veniva comunemente adibito da anni in media due-tre volte al mese. Tale decisione, assunta repentinamente (e contro il parere tecnico del capo servizio che aveva disposto i turni) quando già, per due domeniche, il suo nominativo era stato inserito nelle liste dei redattori comandati a prestare servizio, è stata definita dal Giudice “una misura ad personam che doveva incidere sul solo G. privandolo del compenso aggiuntivo per il turno domenicale” mentre “solo successivamente a distanza di mesi venne trovato un pretesto per legittimarla ex post in qualche modo e tentare, maldestramente, di farla apparire una decisione avente un qualche contenuto organizzativo e professionale”. Conseguentemente il Tribunale ha ordinato al datore di lavoro a reinserire il presidente dell’associazione sindacale nella rotazione dei dipendenti impiegati nei turni domenicali, secondo criteri di uniformità con gli altri lavoratori disponibili. Il Tribunale ha da ultimo rilevato che l’esclusione del presidente dell’ASER dall’utilizzo della mailing list dei quotidiani del gruppo per le comunicazioni sindacali urgenti, genericamente motivata da ragioni a tutela della Privacy, fosse intervenuta in concomitanza con la mail inviata dal presidente dell’ASER ai giornalisti del gruppo editoriale avente ad oggetto le negative valutazioni sulle proposte dell’editore. A tale proposito la sentenza afferma che “emerge con chiarezza che, anche in tale caso, il motivo era meramente ritorsivo, ed aveva come oggetto l’attività sindacale sovolta dal G.” e viene conseguentemente ordinato il ripristino dell’utilizzo stesso. Il Tribunale ha infine ordinato l’affissione della parte dispositiva della sentenza nelle bacheche aziendali per giorni 20 e pubblicata, a spese del datore di lavoro, su due importanti quotidiani nazionali




Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 14/02/2005
Giudice: Marchesini
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: 2889/04
Parti: LUCIANO G. / NONNINO DISTILLATORI S.P.A.
VIOLAZIONE DI ACCORDI COLLETTIVI A GARANZIA DELLA CONTINUTA’ PRODUTTIVA - ILLEGITTIMITA’: SUSSISTENZA - COMPORTAMENTO ANTISINDACALE: NECESSITA’ DELL’ELEMENTO INTENZIONALE .


Nel luglio 2004, nell’ambito di un complesso processo di privatizzazione, il 100% delle azioni dell’Ente Nazionale Tabacchi (ETI) veniva trasferito con contratto di compravendita dal Ministero dell'Economia e delle Finanze alla British American Tobacco Italia S.p.A. (BAT Italia S.p.A.) Con il contratto di vendita, la società acquirente assumeva degli impegni vincolanti (per un periodo di tre anni, a decorrere dalla data di sottoscrizione dell’accordo) in base ai quali si obbligava, tra l’altro, ad assicurare la conservazione dell’oggetto sociale e dell’attività produttiva di ETI, a non procedere a licenziamenti collettivi e a garantire altresì la continuità produttiva. Successivamente e precisamente nel gennaio 2004, le organizzazioni sindacali FLAI –CGIL, FP-CGIL, FAI – CISL, e UILA –UIL e BAT Italia sottoscrivevano un accordo collettivo nel quale la società richiamava e confermava la piena validità di tutti gli impegni assunti con il contratto di vendita. Nell’ottobre 2004 l’azienda apriva una procedura di mobilità ex artt. 4 e 24 della l. 223/1991 al fine di procedere alla chiusura dell’unità produttiva di Bologna e conseguentemente risolvere il rapporto di lavoro con i 141 lavoratori ivi addetti. La determinazione aziendale veniva motivata in ragione della cessazione del contratto di produzione per conto di Philip Morris, società concorrente della convenuta a livello internazionale che, sino all’acquisizione di ETI da parte di BAT, aveva commissionato parte della propria produzione allo stabilimento di Bologna. In data 23 novembre 2004 la FLAI –CGIL depositava ricorso ex art. 28 Stat. lav. deducendo l’antisindacalità della condotta della società per la violazione degli impegni assunti con il contratto di vendita, richiamati e recepiti con l’intesa sindacale del gennaio 2004. Nelle more del giudizio interveniva un accordo separato, non sottoscritto dalla organizzazione sindacale ricorrente, con cui le parti, pur subordinando la validità dell’accordo all’assenso del Governo, prevedevano un periodo di 12 mesi di CIGS a zero ore per cessazione di attività. Con decreto del 14.2.2005, il Giudice, pur censurando pesantemente la condotta aziendale, respingeva il ricorso sulla base di un unico elemento ovvero la carenza, nella condotta dell’azienda, dell’elemento soggettivo cioè dell’intento specifico da parte della BAT di ledere gli interessi del sindacato. Il Magistrato, infatti, riteneva che la cessazione dell’attività “in fase di attuazione” presso lo stabilimento di Bologna integrasse una violazione, quanto meno colposa, degli obblighi assunti che non poteva ritenersi giustificabile da presunte circostanze eccezionali sopravvenute (i) per la prevedibilità del recesso di Philip Morris sia perché le condizioni che lo avevano determinato erano già esistenti e conosciute “al momento della firma del contratto di acquisizione” sia perché comunque una persona di media diligenza sarebbe stato in grado di prevederlo; (ii) per il lasso di tempo molto breve (meno di un anno) intercorso tra l’acquisizione di ETI e la decisione di chiudere lo stabilimento. Infine, il decreto giudicava irrilevanti, sul piano della violazione degli impegni, gli accordi separati sottoscritti dalle altre sigle sindacali in quanto non coinvolgevano tutti i firmatari delle intese violate. In base alle considerazioni sopra esposte, il Magistrato affermava che la condotta della società non poteva essere stata motivata (e quindi giustificata) da un presunto e inesistente mutamento delle condizioni di mercato e che “con ogni probabilità nasce da una errata valutazione della situazione al momento dell’acquisizione di ETI , o da una scelta successiva inerente la strategia globale su scala mondiale, circa la localizzazione delle produzioni”. Ciò premesso, il Giudice, conformandosi a quell’orientamento della Suprema Corte che richiede, nel caso di inadempimento di obblighi derivanti da accordi collettivi, la presenza dell’elemento soggettivo (cfr., ad esempio, Cass. sent.7347/2004; Cass. 5657/2001; Cass. 3298/2001; Cass. 7833/1995), rigettava il ricorso ritenendo che, dalla sommaria istruttoria documentale svolta, tale elemento non fosse emerso




Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 03/04/2000
Giudice: Pugliese
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: Filcea Cgil, Flerica Cisl, Uilcem Uil / Polyteckne s.r.l.
PROVVEDIMENTO DI CIG ORDINARIA: SOSPENSIONE, SU DIECI DIPENDENTI, DEGLI UNICI DUE DELEGATI SINDACALI (ADERENTI ALLA FIOM), DI TUTTI I LAVORATORI INVALIDI (ADERENTI ALLA FIOM) E DI ALTRI CINQUE ISCRITTI ALLA FIOM


Accogliendo un ricorso per comportamento antisindacale proposto dalla FIOM-CGIL di Bologna, in persona del suo segretario, per contrastare la collocazione in CIG ordinaria, senza rotazione, di dieci dipendenti scelti con criteri quantomeno discutibili, il Giudice del lavoro accertava l’illegittimità della condotta del datore di lavoro in base ai seguenti motivi: a) per aver la società omesso di indicare le esigenze tecnico-aziendali alla base della scelta dei lavoratori da collocare a zero ore; b) per aver la società posto in essere un comportamento discriminatorio «se si considera che, per espressa ammissione della stessa, sono stati posti in CIG tutti i lavoratori invalidi, di cui tre aderenti alla O.S. ricorrente, al solo fine di recuperare la produttività aziendale, affermazione quest’ultima che non necessita di ulteriore commento».

Conseguentemente il magistrato dichiarava l’antisindacalità del comportamento in oggetto, ordinando alla datrice di lavoro di reintegrare nel posto di lavoro i dipendenti sospesi (corrispondendo loro le intere retribuzioni) e ordinando altresì alla convenuta di rinnovare la procedura prevista dall’art. 5 della legge n. 164/1975.

In sede di opposizione innanzi al dott. Filippo Palladino, la causa veniva conciliata con verbale del 16 luglio 2002.




Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 17/08/2000
Giudice: Palladino
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: Slc Cgil/ Telecom Italia s.p.a.
AGITAZIONE SINDACALE CONSISTENTE NEL BLOCCO DI QUALSIASI PRESTAZIONE STRAORDINARIA E AGGIUNTIVA. PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI NEI CONFRONTI DEI LAVORATORI CHE VI HANNO ADERITO


Per contrastare le forme di lotta proclamate a livello regionale dalle OO.SS. di categoria, consistenti, tra l’altro, nel blocco di qualsiasi prestazione straordinaria e aggiuntiva (ed in particolare nel rifiuto per i portalettere di aderire alla sistematica richiesta di effettuare la consegna della corrispondenza in zone ulteriori rispetto a quelle di propria competenza) Poste Italiane SpA irrogava provvedimenti disciplinari ai dipendenti che avevano aderito all’agitazione. Di qui la denuncia per antisindacalità in diverse città dell’Emilia Romagna, oltre allo svilupparsi di un diffuso contenzioso individuale.

La SLC-CGIL, in persona del segretario, unitamente a UILPOST – TECSTAT, proponeva ricorso ai sensi dell’art. 28 al Tribunale di Bologna, che respingeva la domanda considerando quell’astensione dal lavoro non già uno sciopero con contestuale perdita di retribuzione, ma «una non accettazione da parte dei dipendenti del modello organizzativo del lavoro proposto dall’azienda» che si sarebbe tradotto in una «inosservanza delle disposizioni impartite dall’azienda in materia di orario di lavoro e, dunque, in un inadempimento contrattuale inidoneo a determinare una decurtazione retributiva».

Il Giudice ha considerato irrilevante la circostanza che spesso per effettuare la prestazione aggiuntiva i portalettere si vedono costretti a superare l’orario giornaliero di lavoro, affermando testualmente che «la pretesa dei dipendenti di lavorare sei ore giornaliere e di non superare tale orario giornaliero non costituisce allora astensione dal lavoro, ma negazione del potere datoriale di organizzazione e strutturazione dell’orario di lavoro e, quindi, inadempimento contrattuale».

Di contrario avviso si è mostrato il Tribunale di Ferrara (G. U.) – 12 agosto 2000 (Est. Lauletta) nella controversia SLC-CGIL + Lodari ed altri / Poste italiane SpA.

Il sindacato di Ferrara aveva impostato il proprio ricorso evidenziando in particolar modo come, per carenza di organico, la richiesta ai portalettere di «coprire» anche una zone limitrofa rispetto a quella allo stesso normalmente assegnata comportava quasi sempre il superamento dell’orario di lavoro, e quindi che le prestazioni supplementari dovevano considerarsi lavoro straordinario; la società Poste Italiane pur avendo usato questo aggettivo in propri passaggi, contestava la circostanza. Il Giudice di Ferrara considera «non obbiettivamente chiaro» (ma in fondo irrilevante) «se il lavoro in discorso dovrebbe svolgersi nell’ambito delle sei ore giornaliere e nelle trentasei ore settimanali, pattuite contrattualmente, oppure al di fuori di tali orari». Ritiene invece «dato acquisito, in quanto affermato da parte ricorrente e non smentito dall’antagonista, che questo lavoro extraterritoriale determinerebbe un piccolo beneficio economico per i lavoratori in esso impiegati».

Il datore di lavoro aveva considerato il rifiuto di svolgere le prestazioni aggiuntive o supplementari un inadempimento contrattuale, e conseguentemente aveva irrogato ai propri dipendenti che tale rifiuto avevano opposto pesanti sanzioni disciplinari (sospensione dal lavoro e dalla retribuzione). Il Giudice, dopo aver riconosciuto che «secondo gli schemi privatistici il dipendente non può astenersi, in tutto o in parte, dal lavorare: non può astenersi a titolo individuale, sarebbe inadempiente a un’obbligazione contrattuale e, trattandosi di rapporto di lavoro appunto dipendente, sarebbe oggetto di atti disciplinari» ha però precisato che «tutto cambia quando l’astensione del lavoro è organizzata collettivamente, insomma è uno sciopero (…) e, come è noto, con l’avvento della Costituzione repubblicana lo sciopero non soltanto ha cessato di essere un fatto illecito, ma è diventato anche più di una facoltà; costituisce un diritto, e sanzioni per l’esercizio di un diritto sono, addirittura, contrari alla logica giuridica». Di qui l’assoluta evidenza, per il Giudice di Ferrara, nel caso in esame della doverosa applicazione dell’art. 28 dello Statuto con riferimento a «comportamenti diretti a impedire o limitare l’esercizio […] del diritto di sciopero».

A ciò si aggiunga che «poiché lo sciopero era stato proclamato dal sindacato, le sanzioni con cui l’azienda ha colpito chi aveva seguito il proclama di esso hanno costituito palesemente, a prescindere dall’intento soggettivo, comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale».

In sede di opposizione al decreto del Giudice di Bologna, radicata dalla SLC-CGIL innanzi al dott. Maurizio Marchesini, il decreto veniva riformato con sentenza 17 ottobre 2003 di cui si trascrive il

DISPOSITIVO

«dichiara l’antisindacalità dei procedimenti disciplinari e dei provvedimenti disciplinari intrapresi ed adottati da Poste italiane spa nei confronti dei dipendenti che hanno partecipato allo sciopero dello straordinario, nella vertenza oggetto del presente procedimento; annulla i provvedimenti disciplinari già pronunciati ed ordina a Poste Italiane la cessazione dei provvedimenti disciplinati in corso per tale controversia, con restituzione delle eventuali trattenute operate, con interessi legali e rivalutazione monetaria secondo indici ISTAT dalla mora al saldo; ordina a Poste italiane spa la rimozione di tutti gi effetti conseguenti ai procedimenti disciplinari intrapresi ed ai provvedimenti disciplinari adottati; condanna Poste italiane spa alla rifusione delle spese processuali a favore delle organizzazioni ricorrenti, liquidate in Euro 9.306,00 di cui Euro 2.056,00 per competenze, ed Euro 7.250,00 per onorari, spese generali, IVA e cpa seguono come per legge; ordina che la sentenza sia pubblicata, a spese di Poste italiane 1 volta e per estratto sui giornali «Repubblica» ed il «Corriere della Sera»; ordina che la sentenza sia affissa nelle bacheche aziendali, anche per estratto; dispone che le spese siano distratte a favore dei procuratori antistatari».

La società ha proposto appello avverso la sentenza del dott. Maurizio Marchesini e attualmente la causa è pendente innanzi alla Corte D’Appello di Bologna.




Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 23/02/2001
Giudice: Pugliese
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: Fisac Cgil, Falcri/ Carisbo s.p.a
LICENZIAMENTO COLLETTIVO PER CESSAZIONE DI ATTIVITÀ, VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI INFORMAZIONE DI CUI ALL’ART. 4 L. 223/1991 E VIOLAZIONE DELLA BUONA FEDE E DELLA CORRETTEZZA


Il Giudice respinge il ricorso con cui le oo.ss. ricorrenti  lamentavano la sussistenza di un comportamento antisindacale concretizzatosi nell’apertura della procedura di mobilità in violazione degli obblighi di informazione previsti dall’art. 4 legge 223/1991. In particolare, i sindacati eccepivano che la comunicazione iniziale non specificava sufficientemente le ragioni del ricorso alla procedura, limitandosi a dare atto del fatto che la Benkiser s.p.a., principale committente della Polyteckne, aveva deciso di recedere dal contratto, nonostante vi fossero state complesse trattative sulla riconversione produttiva dell'azienda proprio in vista della possibile perdita della commessa.

Il decreto non accoglie la prospettazione delle ricorrenti, ritenendo che «la società convenuta ha sempre rispettato nel corso della lunga e travagliata trattativa di cui si narra negli atti di causa gli obblighi derivanti dall’art. 4 legge 223/1991».

In sede di opposizione innanzi alla dott. Palladino, il sindacato rinunciava alla causa che quindi veniva dichiarata estinta.




Tribunale di Bologna > Comportamento antisindacale
Data: 03/12/2001
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Decreto
Numero Provvedimento: -
Parti: Filt Cgil/ Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.
MESSA A DISPOSIZIONE DELLE RSA DI LOCALI IDONEI ALL’ESERCIZIO DELLE PROPRIE FUNZIONI NELL’AMBITO DELL’UNITÀ PRODUTTIVA


L’organizzazione sindacale ricorrente conveniva in giudizio Telecom s.p.a. per condotta antisindacale in quanto la società aveva offerto alle rsa un solo locale per tutte le unità produttive della provincia di Bologna, mentre il sindacato riteneva che gli dovessero essere concessi dei locali idonei all’esercizio delle proprie funzioni almeno presso le unità produttive site in Bologna, Piazza della Costituzione n.2 e via della Centralinista n.3 o nelle immediate vicinanze di queste.

Il Giudice accoglie il ricorso soffermandosi anzitutto sulla nozione di unità produttiva quale «articolazione aziendale che abbia un’autonoma funzionalità nell’economia dell’unitaria organizzazione dell’impresa e che sia perciò distinta dal punto di visto economico, produttivo e spaziale dagli altri luoghi ove l’imprenditore esercita la sua attività», per poi verificare la sussistenza di tali requisiti nelle due strutture dell’azienda. Infine, il decreto precisa che «il diritto sindacale di vedersi attribuito un locale all’interno di ciascuna unità discende dalla legge, e non è rinunciabile».